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ll tuo cervello può guarire da solo. La ricerca e scoperta del dr Doidge, psichiatra. La luce guarisce

Scritto da Cristina Bassi

Traduco, nel seguito, alcune parti  di un interessante articolo su una ricerca d’avanguardia e casi di successo, relativamente a nuove speranze di guarigione per le persone con dolore cronico, sclerosi multipla e altro ancora.  Notare  in questo tempo di lockdown, come qui si enfatizzi  l’importanza del movimento e del camminare, come parte essenziale particolarmente per problematiche gravi come Parkinson e Alzheimer…

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Un uomo sudafricano affetto dal morbo di Parkinson, un disturbo degenerativo che spesso lascia immobili i suoi malati, riesce a camminare dominando i suoi sintomi. Un cantante di Broadway, messo a tacere per 30 anni dalla sclerosi multipla, recupera la voce. E in California, uno psichiatra e specialista del dolore si libera di 13 anni di dolore cronico nel giro di un anno, senza farmaci o interventi chirurgici, grazie agli sforzi del suo cervello.

Questi individui, e migliaia come loro, hanno raggiunto tali risultati – scrive Norman Doidge, psichiatra di Toronto e autore di The Brain’s Way of Healing–  proprio perché il cervello umano è un generalista per eccellenza. L’opinione prevalente nel XX secolo era che fosse troppo specializzato per il suo stesso bene: una macchina fissa, fatta di parti discrete che possono rompersi, per non funzionare mai più. Questo concetto non è più valido.

Il cervello è in realtà un organo flessibile, malleabile, pronto a disimparare quanto ad apprendere, capace di trasformare circoli viziosi in circoli virtuosi, di ripristinare e riparare le sue comunicazioni interne. Molto più di quanto sognato un tempo come possibile, il cervello può  guarire se stesso – se non sempre curarsi.

Nel suo bestseller del 2007, The Brain That Changes Itself (Il Cervello che cambia se stesso), Doidge ha scritto sulla notevole capacità del cervello di ricalibrarsi: ciò che i medici chiamano neuroplasticità . Il suo nuovo libro racconta una serie di stupefacenti miglioramenti radicali, relativamente ai problemi cerebrali a lungo considerati irreversibili.

Ci sono nuove terapie efficaci, che portano a miglioramenti, e a volte anche a guarigioni complete, per condizioni che vanno dall’ictus alle lesioni cerebrali traumatiche, ai disturbi dell’apprendimento e alle parti mancanti del cervello. Anche i sintomi del Parkinson e della SM possono essere migliorati in nuovi modi.

Come ha detto Marshall McLuhan, il futuro è già qui”, dice Doidge in un’intervista. “I primi neuroplastici hanno dovuto lottare per far accettare le loro scoperte, ma ora il campo non è neanche lontanamente controverso. Non sto più parlando di sviluppi “promettenti” lungo la strada, ma di terapie che sono già qui”. I pazienti e chi si prende cura di loro devono solo sapere chi stanno facendo cose che pensavano impossibili”. 

 


La metafora militare della medicina: il medico antagonista della malattia

“Siamo abituati a un modo di pensare”, nota Doidge, che deriva da quella che lui chiama la metafora militare della medicina, “l’idea che il paziente non sia altro che il campo di battaglia passivo dove i due antagonisti, il medico e la malattia, si battono. Il compito del paziente è quello di resistere fino a quando il medico non si inventa qualcosa, o, in questi giorni, di essere coinvolto in una raccolta di fondi che invierà denaro ai ricercatori in modo che loro o le aziende farmaceutiche possano trovare la risposta”.

Ma il cervello plastico, capace di così tanto, ha ancora bisogno dell’aiuto di mente e corpo per realizzare le sue possibilità. Considerate il dr Michael Moskowitz, che conosce il dolore sia professionalmente che intimamente. Il collaboratore della Bay Area Medical Associates di Sausalito, California, Moskowitz è una star nel trattamento del dolore, l’uomo che stabilisce gli esami in medicina del dolore per aspiranti medici americani.

La sua clinica tratta casi intrattabili, pazienti che hanno provato di tutto per la loro agonia – tutti farmaci conosciuti, blocchi nervosi, agopuntura – senza risultato. “Noi siamo il luogo dove la gente viene a morire con il proprio dolore”, ha detto a Doidge. Nel 2007, 13 anni dopo un incidente di sci nautico, sembrava che Moskowitz sarebbe stato uno di loro. Il dolore acuto dovuto alla ferita al collo si era trasformato in un dolore cronico permanente e crescente.

“Il dolore cronico è la plasticità che si scatena”, dice Doidge. “La ferita al collo di Moskowitz aveva colpito anche il sistema del dolore del suo corpo, in particolare i neuroni del cervello associati all’area del collo, causando il lancio di falsi allarmi ripetuti molto tempo dopo la guarigione del collo. Ciò che è successo dopo, illustra le leggi fondamentali della neuroplasticità. I neuroni che fanno scariche, si cablano : quanto più i segnali di dolore di Moskowitz si infiammavano, tanto meglio e più velocemente mettevano l’anima in pace”.

Usarlo o perderlo: la lotta per il territorio del cervello è competitiva. Più Moskowitz privilegiava il suo collo a causa del dolore, meno i neuroni coinvolti avevano da fare, e più diventavano vulnerabili ad essere dirottati da aree vicine, compresi i sensori del dolore che ora facevano gli straordinari. Moskowitz  venne catturato in un circolo vizioso. Il suo dolore, a 3/10 nella scala standard nel migliore dei casi, e con un picco frequente fino a 8/10, non faceva che peggiorare.

“La plasticità è una benedizione quando si ascolta musica classica e si sviluppa un apprezzamento per essa”, osserva ironico Doidge, “ma è una maledizione quando cosi si rafforza il dolore”. Mentre la sua qualità di vita veniva inesorabilmente erosa, Moskowitz si mise a leggere 15.000 pagine di ricerca neurologica all’avanguardia, alla ricerca di un modo per far funzionare per sè la plasticità.

Moskowitz si è concentrato su due aree del cervello tra le dozzine che elaborano almeno un po’ di dolore, il cingolo posteriore e il lobo parietale posteriore, aree il cui scopo primario è quello di trattare le informazioni visive.

Sapeva già che quando un’area del cervello elabora il dolore, utilizza circa il cinque per cento dei neuroni dell’area, ma il dolore cronico ne richiede in più, ca il 15-20 per cento dei neuroni coinvolti.


Concentrarsi sulle immagini del cervello

Concentrandosi su un’immagine del suo cervello – un’immagine in cui il suo cervello passava dall’essere “acceso” dall’attività del dolore,  alla condizione di calma e assenza di dolore – Moskowitz pensava di poter calmare i recettori del dolore originali e costringere i neuroni dirottati a tornare al loro lavoro quotidiano come processori visivi.

All’inizio ciò richiese una dedizione incessante, una risposta consapevole ad ogni fitta. In tre settimane, Moskowitz pensò di aver rilevato un leggero miglioramento, sufficiente a spronarlo; dopo sei settimane il dolore che si era diffuso alla schiena era sparito; nel giro di un anno era quasi sempre privo di dolori nel corpo.

Aveva reso virtuoso il circolo vizioso. “L’essere stato senza sosta era il fattore più importante, in assoluto“, concorda Doidge. “Come psichiatra, so che  la via per alterare quel circuito è di rielaborare come opportunità  un attacco del sintomo,  invece di cadere nella desolazione e ritirarsi indietro; occorre gestire cosi  ogni dolore, ansia o inibizione – ovvero rielaborare il dolore come propria opportunità, questa è la via per alterare il circuito.

Questo è quello che fece Moskowitz. Non ha lasciato passare neanche una fitta di dolore.L’intensa dedizione è un tratto distintivo di chi, da solo, realizza un cambiamento su larga scala nel proprio cervello.

A John Pepper, sudafricano, ormai settantenne,  fu diagnosticata a trent’anni la malattia neurodegenerativa incurabile, cronica e progressiva, nota come Parkinson. Con ogni probabilità doveva essere immobile, se non morto, ma Pepper ha combattuto i suoi sintomi fino a che sono scomparsi e lo ha fatto con vigoroso esercizio fisico svolto con feroce determinazione e attenzione coscienziosa ai dettagli.

“Anche quando la sua capacità inconscia di camminare si disfò, spiega Doidge, “Pepper si rese conto che se analizzava come camminava e usava la sua mente cosciente per guidarlo, poteva ancora farcela “ Così usò una parte diversa del suo cervello, i lobi frontali, e come un bambino che impara a camminare, pensò da solo a camminare in modo efficiente”.

Il caso di Pepper ha affascinato tutti coloro che lo hanno incontrato, in parte per la sua ammirevole cocciutaggin e in parte per il modo in cui dimostra l’importanza, nella ricalibrazione dell’attività cerebrale, del camminare, il re dell’esercizio fisico.

“È la nostra storia evolutiva all’opera”, sostiene Doidge. “Quando gli animali camminano molto? Quando l’ambiente in cui si trovano è brulicante di predatori o è a corto di cibo. Trasferirsi in un nuovo territorio significa entrare in un luogo dove devono imparare molto. Quando il cervello prende nota di molte camminate, esso e il corpo insieme secernono fattori di crescita che mettono il cervello in uno stato super-plastico, ottimo per imparare”.

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Parkinson e Alzheimer , come ridurre il rischio di demenza

Le persone con Parkinson hanno un tasso di demenza sei volte superiore a quello di chi non ce l’ha, e Pepper sta raggiungendo quelli che sono gli anni di pericolo per chiunque, eppure la sua mente è acuta. Questo, insieme al suo modo di fare esercizio fisico e alla precisione del “prima tacco destro e poi ginocchio sinistro” … solleva una domanda sul morbo di Alzheimer, una malattia in cui sia l’esercizio fisico che la scrupolosità, sono fattori provati per ritardarne l’insorgenza.

L’Alzheimer è una malattia della plasticità, o piuttosto della sua assenza? Doidge è cauto nella risposta. “Ci sono tanti modi di vedere il morbo di Alzheimer. La maggior parte dei ricercatori lo analizza chimicamente, a causa delle proteine coinvolte, nella speranza di trovare farmaci allevianti, ma guardare all’Alzheimer in questo modo è metterlo sotto il microscopio ad alta potenza – è più olistico pensare al cervello di un Alzheimer come uno che sta perdendo plasticità”.

“Ora abbiamo lo studio di Cardiff che esamina gli uomini britannici da oltre 30 anni e dimostra che se si fanno cinque cose, tra cui camminare per almeno tre chilometri al giorno“, dice Doidge, “il rischio di demenza scende di uno sbalorditivo 60 per cento. Se un farmaco facesse questo, sarebbe il farmaco di cui si parla di più nella storia”.

Non che i farmaci non abbiano un ruolo nella storia che Doidge racconta. Moskowitz, che ha cambiato l’obiettivo della sua clinica dalla gestione del dolore all’eradicazione del dolore, riconosce che lui stesso (e altri del calibro di Pepper) è un eccezione grazie alla sua determinazione di ferro.

Non tutti i suoi pazienti possono seguirlo sulla strada della implacabilità. Tuttavia, Moskowitz non sempre cerca di aiutarli con la terapia farmacologica, ma dedica loro un notevole sforzo per svezzarli dagli antidolorifici, ma con il tatto, il suono e le vibrazioni. È un modello che Doidge vede ovunque. “Quasi tutte le storie di successo prevedono una combinazione di mente ed energia”.

Gran parte di The Brain’s Way of Healing è dedicata alle terapie energetiche non invasive. L’autore è particolarmente innamorato della terapia della luce, un tempo molto più importante nella medicina occidentale di quanto lo sia ora.

Doidge ama citare Florence Nightingale, che ha detto che “la luce non è solo un pittore ma anche uno scultore”, dopo aver preso atto che i soldati feriti negli ospedali da campo all’aperto in Crimea si sono ripresi meglio di quelli bloccati in casa. “Siamo molto più trasparenti di quanto pensiamo e più sensibili alla luce di quanto pensiamo. Così ho un intero capitolo sull’uso della luce, compresi i laser freddi, per guarire il cervello”.

La luce e le altre terapie energetiche sono cadute in disgrazia, crede Doidge, perché per 50 anni gli scienziati si sono concentrati sul lato materiale e chimico del cervello. Le sostanze chimiche lavorano in piccole regioni per i segnali, dice, ma il vero linguaggio universale del cervello sta nel suo modello di segnali elettrici. ”

Tutti i nostri sensi prendono l’energia dall’esterno e la traducono in un’altra forma di energia all’interno del cervello. I medici possono ora usare queste forme naturali di energia per ‘parlare’ al cervello”. E niente parla più forte e chiaro degli impulsi elettrici del PoNS.

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Per decenni, osserva Doidge, gli scienziati non hanno usato “guarigione” e “cervello” nella stessa frase, perché pensavano che il cervello fosse così sofisticato da mancare di poteri di autoguarigione. Questo si è rivelato essere sbagliato: il cervello è ancora più sofisticato di quanto chiunque si rendesse conto.

fonte: https://www.macleans.ca/society/health/how-your-brain-heals-itself/
traduzione e sintesi M.Cristina Bassi per www.thelivingspirits.net